Il Colle

L’antica cava: risorsa e sventura

È rimasto solo il nome nell’immaginario popolare: Monte Castello. La collina su cui si ergeva la rocca che nei secoli bui fungeva da baluardo e da rifugio contro le scorrerie di Ungari, franò nella notte del 5 febbraio 1951 cancellando di fatto una contrada, seppellendo i genitori e il primogenito della famiglia Micheline lasciando sette orfani in tenera età. Il dramma è ancora presente nella memoria della gente di Sovizzo. La tragedia innescò una serie di iniziative di solidarietà nella comunità locale e anche in contesti nazionali, con la partecipazione di personalità della cultura e dello spettacolo. Su quel dosso è disposto ora un quartiere residenziale e nel cinquantesimo anniversario della tragedia (2001) sulla piazza è stato collocato un cippo commemorativo. Ai tempi della frana era attiva in quella zona una cava argillosa, i cui scavi (uniti alle piogge copiose di quei giorni) hanno probabilmente contribuito al disastro. Va ricordato come il materiale di quel giacimento, di derivazione vulcanica, fosse particolarmente ricercato per le sue qualità fisiche e chimiche. Tra l’altro, sin dal 1700, il sito era noto per la disponibilità di un certo tipo di terra, il “bolo di Sovizzo”, pregiato composto particolarmente adatto nella distillazione per la produzione dell’acido nitrico (volgarmente acqua forte), oggetto di studio di alchimisti e chimici sin da prima del 1000. L’acido nitrico era presenza fondamentale per tingere la lana di uno speciale tipo di rosso, il cosiddetto Scarlatto di Venezia, un prodotto particolarmente ricercato, frutto di una pratica gelosamente custodita da tintori e pittori della Repubblica Veneta. Sì, anche la Serenissima nella sua storia e leggenda deve qualcosa a Sovizzo, anzi, a Sovizzo Colle.